Proseguono le Residenze Artistiche, mai come quest’anno incentrate su tematiche impellenti, importanti, di cui il teatro, come voce potente, totale, rivolta a tutt*, si fa portavoce. Il teatro come amplificatore di quello che più “alto” abbiamo tutt* nell’anima (o altrove, se non crediamo all’anima, ma c’è, fosse “solo” empatia e compassione!)
Diesis Teatrango, chiamata da Archè Teatro per il Festival IL TEATRO NON SI RASSEGNA, si è innamorata di questo progetto ed è lieta di ospitare I PESCI https://ipesci.wordpress.com/ nel Teatro Comunale di Bucine.
Si presentano così e ci raccontano il loro lavoro:
Siamo un giovane collettivo artistico indipendente che lavora sul territorio nazionale, la nostra base è
Napoli e sviluppiamo i nostri lavori in collaborazione con l’Ex-asilo Filangieri, al centro storico di Napoli, un centro sociale occupato che ci offre i suoi spazi per permettere le nostre ricerche artistiche. Questo lavoro vede protagonisti Antonio Stoccuto, autore e regista dell’opera, Fiorenzo Madonna, Damiano Rossi e Emma La Marca, tecnico luci e assistente alla regia.
La residenza a Bucine è giunta a seguito di una selezione al festival “Il teatro non si rassegna” presentato da Archè teatro, e alla scelta di ospitare e supportare la creazione da parte di Diesis Teatrango Soc. Coop. La residenza a Bucine figura il nostro ultimo passo nella finalizzazione dell’opera “Muti come pesci”. Per la
distribuzione teatrale di questo lavoro e il debutto siamo a lavoro, ma non possiamo ancora dare nessuna
informazione certa a riguardo.
“Muti come pesci” è un’opera originale in atto unico. È il secondo capitolo di una trilogia dedicata
all’invisibile. Il progetto nasce dalla necessità dell’autore di indagare la zona di realtà invisibile che
accompagna gli umani nel passaggio tra la vita e la morte. È uno studio su quanto gli umani possano essere vivi nell’invisibile e morti nel visibile. Il lavoro racconta dell’esperienza finale di vita di un bambino di dodici anni. I personaggi si presentano come pesci per poi giungere alla consapevolezza di ciò che sono. Marmora è in fin di vita ed è solo in mare aperto, dopo che il barcone sul quale viaggiava, partito dalla Libia, è affondato. A seguito della perdita di sensi si figura Armuro come compagno di viaggio, amico immaginario che lo porterà a raggiungere la meta. Nessuno può aiutarlo, l’unica cosa che resta è di accettare l’inevitabile destino della morte e accoglierla. È una vittima del naufragio accaduto nel 2013 al largo del canale di Sicilia. Il barcone partito dalla Libia è rovesciato e in mare galleggiano 268 corpi umani. Nessuno li ha salvati nonostante le loro continue richieste d’aiuto alla capitaneria di porto italiana e a quella maltese. Le due figure iconiche portano con sé ognuna il proprio vissuto, un’esperienza non ripetibile da nessun altro, che si scontra con la fine e si decompone lentamente sino a scomparire; come quando Derrida avverte: “Quando muore una persona, con lei scompare anche tutto un mondo”. Il protagonista viene condotto da Armuro all’elaborazione del lutto personale ed accogliere gli eventi deprecabili della sua vita, lasciando solo al sentire una vera risposta, che regna per sempre sovrana oltre il tempo e lo spazio.
L’urgenza di parlare oggi di questa tematica è un bisogno, un dovere, una denuncia che non può esimere nessun umano
Siamo partiti dalla stesura di una prima bozza di drammaturgia, ma praticando anche scrittura di scena il
testo è stato ed è ancora in continua evoluzione. La nostra modalità nel fare teatro si fonda sull’azione
fisica, sul gesto, sullo studio del corpo; l’azione fa nascere la parola e non viceversa. L’improvvisazione è un importante fucina per dare corpo e fiato alla creazione e quindi con assoluta certezza abbiamo praticato quest’arte. Ci sono state due fasi in cui potremmo dividere lo sviluppo del lavoro, una prima fase è stata presentata al festival dal quale poi è derivata la selezione alla residenza a Bucine, durante la quale il lavoro è stato articolato in una direzione che potrebbe avvicinarsi come immaginario al teatro-danza; e una seconda fase che ha visto l’innesto nel lavoro dei tessuti. L’utilizzo di questo attrezzo ha aperto una nuova ricerca che ha ampliato ciò che prima era stato creato e ci sta accompagnando ad una nuova pratica di messa in scena che tiene in riferimento la drammaturgia che continua ad evolversi ma fonda
sull’improvvisazione il motore vivo dell’opera.
Ogni lavoro è una creazione unica, e in quanto tale i processi creativi variano sempre, in base al collettivo di riferimento all’opera; considerando che non esiste una modalità migliore di un’altra per creare un’opera, se bisogna dire di un approccio che in genere usiamo forse semplicemente è l’ascolto, quello di se stessi e dei compagni di scena, e se c’è questo ascolto che sia un approccio basato sulla drammaturgia o sull’improvvisazione poco cambia, l’importante è che si senta qualcosa per cui valga la pena bruciare
Il lavoro è un impegno costante, come un qualcosa che inizia e non smette sia durante l’attività che il
riposo. Essendo un lavoro molto fisico oltre alle prove c’è una preparazione atletica ed un allenamento
continuo. Le prove sono un continuo immergersi in se stessi e nell’altro e un costante concedersi; essere aperti nel mondo. Praticare tutto ciò significa avere un dispendio di forze sia emotivamente che fisicamente e indubbiamente dopo le sessioni di prove la fatica si avverte.
Tutti i membri del collettivo artistico sono umani che hanno scelto di fare questo mestiere per un bisogno, una necessità, una vocazione e quindi il fatto stesso di farlo dona forza, ma non solo mi sento di aggiungere dona colori e suoni e forme alla vita stessa. Per ogni lavoro le energie si perdono sempre e si trovano anche, è come la vita, si perde costantemente qualcosa e non c’è nulla da fare, ma accogliere queste costanti perdite, questo lasciare andare, crea lo spazio necessario per riempirsi di altro, di tutto ciò che il lavoro/la vita ci dona e continuare il proprio viaggio
Come non condividere ogni singola parola?
Come non confidare, stanti le premesse, che l’esito finale di questo spettacolo sia “intenso, bello, coinvolgente, emozionante, commovente” come lo studio che abbiamo avuto il privilegio di visionare?
Non vediamo l’ora.
Benvenuti I PESCI!